IL CONCETTO GIURIDICO DI SOVRANITA’ DELLE CASE GIA’ REGNANTI

Prerogative dinastiche e “fons honorum”.

Come antico insegnamento della Dottrina, la Sovranità, nel suo pieno esercizio, comprende la esplicazione di quattro diritti fondamentali: 1. Lo “JUS IMPERII”, cioè il diritto al comando; 2. Lo “JUS GLADII”, cioè il diritto d’imporre l’obbedienza col comando; 3. Lo “JUS MAJESTATIS”, cioè il diritto di essere onorato e rispettato; 4. Lo “JUS HONORUM”, cioè il diritto di premiare il merito e la virtù.

Secondo lo “studio legale di diritto nobiliare” di Viareggio, che da oltre 10 anni si occupa esclusivamente di diritto nobiliare e di giurisprudenza araldica con lo scopo di difendere i diritti dei Nobili e dei Gran Maestri degli ordini  cavallereschi avanti i tribunali della Corte Superiore di Giustizia Arbitrale, “allorquando un Sovrano viene estromesso dal dominio politico di un territorio, senza che compia alcun atto abdicativo o di acquiescenza al nuovo Ordinamento Politico, Egli subisce una “compressione” nei suoi due diritti, jus imperii e jus gladii, che conserva però come, suol dirsi “in pectore et in potentia”, nella qualità di “ Pretendente al Trono perduto”.

Detto studio legale, che guidato dal Conte Emilio Petrini Mansi Marchese della Fontanazza Nobile dei Marchesi, Patrizio di Lucca ha ottenuto numerosi riconoscimenti in  Italia e a livello internazionale e  che è composto da iscritti all’albo dei procuratori  legali arbitrali avanti i tribunali civili della Corte Superiore di Giustizia Arbitrale, afferma inoltre nel proprio sito quanto segue:

Allorquando un Sovrano viene spodestato Egli conserva, invece, in tutta la loro interezza, l’esercizio degli altri due diritti, jus maiestatis e jus honorum, che costituiscono la sua particolare Prerogativa che va sotto il nome di “FONS HONORUM”, connaturata nella sua funzione sovrana, che si esplica nella facoltà di “CREAR NOBILI ED ARMAR CAVALIERI” negli Ordini Cavallereschi di collazione dinastico-familiare del proprio Casato.

Tale diritto si trasmette “Jure sanguinis” all’infinito, ai propri discendenti, in persona del “Capo di Nome e d’Arme della Dinastia”, onde il principio di diritto pubblico inglese “Rex non moritur” nel senso di perpetuazione dinastico-funzionale di tale Reale Prerogativa.

Storicamente ciò si spiega perché il Sovrano, Monarca Assoluto o Costituzionale, esercita un mandato “per grazia di Dio”; legato al principio teologico “omnis potestas a Deo”; crisma che, per la sua natura divina, non può conoscere limiti.

Il Sovrano, può perdere tali “Prerogative” soltanto in seguito a capitolazione politica, sotto forma di abdicazione, rinuncia, vassallaggio, acquiescenza, il che vien detto “debellatio”.

E’ naturale, infatti, che il territorio, non può essere “soggetto” bensì “oggetto” della Sovranità, in quanto su di esso si esercita la potestà sovrana ed essendo, pertanto, sottoposto a tale potere, non costituisce il potere stesso. Che la sovranità possa essere disgiunta dal territorio, lo conferma, infatti, la posizione giuridica del S.M.O.M.; quella della Santa Sede, dal 1870 al “Concordato”; della “Croce Rossa Internazionale”; un tempo della “Società delle Nazioni”, poscia delle “Nazioni Unite”, come giustamente ebbe ad osservare l’On. Casilinuovo nella relazione alla Legge 3 marzo 1951 n. 178.

Esistono dunque, di fatto, col pieno riconoscimento in campo internazionale, “Personalità Giuridiche Internazionali” assolutamente prive di territorio, come pure “Ordini Sovrani” senza sudditi né territorio.

Afferma precisamente il Bascapè del Sacro Cuore di Milano: “La famiglia principesca già sovrana, mantiene il suo carattere dinastico e il suo Capo” conserva il titolo e gli attributi dell’ultimo Sovrano spodestato, col nome di “Pretendente”.

Tali principi sono confermati da pareri di illustri giuristi, quali S.E. il Dott. Ercole Tanturri, Primo Presidente On. Della Suprema Corte di Cassazione, cui si associarono il Prof. Leonardo Puglionisi, Docente di Dir. Canonico nell’Università di Roma e S. E. Dott. Raimondo Jannitti-Piromallo, allora Presidente di Sezione della Corte di Cassazione (Giornale di Araldica e Genealogia n. 7-12 del dic. 1954) il quale, fra l’altro scrive: “La sovranità è una qualità perpetua, indelebilmente collegata e unita nei secoli a tutta la discendenza di colui che l’ha per primo conseguita o rivendicata e si concretizza nella persona fisica del Capo di Nome e d’Arme della Dinastia, indipendentemente da qualsiasi considerazione o indagine di natura politica, giuridica, morale e sociale che di quest’ultimo possa farsi, e che, come insegna anche la storia, non può assolutamente incidere sulla sua qualità sovrana”.

Aggiunge il Gorino-Causa: “Le onorificenze possono essere conferite anche da chi non gode più in atto della sovranità territoriale. Il Sovrano spodestato, conserva la collazione dei suoi Ordini Gentilizi, mentre perde il Gran Magistero di quelli della Corona, facenti parte del patrimonio dello Stato”. In altri termini, come il Sovrano è titolare di due ben distinti patrimoni economici: quello privato e quello della Corona; parimenti è titolare di due distinti patrimoni araldici: quello dinastico-familiare e quello dello Stato. La perdita della sovranità territoriale importa di conseguenza la perdita di tutto ciò che si appartiene alla Corona ma giammai di ciò che costituisce patrimonio personale sia economico che araldico.

Nella figura del Sovrano spodestato, oltre al legittimo esercizio del Gran Magistero dei suoi Ordini Dinastici, rimane quella speciale, indelebile qualità che lo rende “Fons Honorum”.

Scrive un illustre Magistrato, S.E. il Dott. Ciro Gini, Primo Presidente On della Suprema Corte di Cassazione, in Sentenze della Magistratura italiana pronunciate posteriormente alla Legge 3 marzo 1951: Sarebbe lo stesso che voler inibire ai discendenti di Casa Savoia di conferire l’Ordine della SS. Annunziata o quelli dei SS. Maurizio e Lazzaro, entrambi di pertinenza esclusiva della loro “ Casa già Sovrana “ o ad Otto di Asburgo di conferire l’Ordine del Teson d’Oro che in effetti spesso conferisce a chi gli aggrada.

Non può, invero, dubitarsi sulla qualità di “Pretendente” in Umberto di Savoia, non potendo giammai Egli ritenersi “Sovrano debellato”. E’ notorio, infatti, che Egli, subito dopo il “ Referendum “ del 1946, decise di partire per l’estero senza neppure attendere l’esito della proclamazione ufficiale dei risultati, quale chiaro atto di protesta al mondo come erano state condotte le consultazioni; esplicita manifestazione di non accettare, né riconoscere, il valore giuridico né politico della votazione.

Conformemente dunque alla prevalente autorevole Dottrina, nessuno ha mai dubitato della “Fons Honorum” dei Rappresentanti di antiche Dinastie spodestate, onde, i lontani discendenti della Imperial Famiglia “Angela Flavia” ebbero a concedere numerosi titoli nobiliari, la cui validità non venne mai messa in dubbio dagli Organi un tempo preposti alla loro tutela.

Parimenti, nessuno ha mai dubitato della legittimità di celebri Ordini Cavallereschi, appartenenti a  Dinastie non più regnanti, quali il citato “Toson d’Oro” degli Asburgo oppure l’ “Ordine Costantiniano” della Casa Borbone Due Sicilie, entrambi ambitissimi non meno del Sovrano Ordine Militare di Malta, mentre numerosi sono gli esempi di titoli nobiliari concessi da Sovrani spodestati e pur riconosciuti validi in campo internazionale.

Basta ricordare quelli concessi da Re Ferdinando II di Borbone dall’esilio di Gaeta, riconosciuti dalla Consulta Araldica Italiana; il titolo di Principe di Santa Flavia, concesso dal detto Sovrano, nella euforia della inattesa vittoria riportata su Garibaldi a Caiazzo, all’Ambasciatore di Spagna Don Salvatore Bermuda de Castro e confermato dalla Consulta Araldica con decreto 19 dicembre 1886, alla sua legittima discendente, Donna Maria Bermudes.

Lo stesso Re Vittorio Emanuele II come ci tramanda Raffaele de Cesare ne “La fine di un Regno”  per concedere al Generale Cialdini il titolo nobiliare di “Duca di Gaeta”, chiese preventivamente una esplicita “REFUTA” al Borbone già in esilio, costituendo esso titolo un “appannaggio personale” dell’antico Sovrano.

Innumerevoli sono gli esempi, antichi e contemporanei, di Sovrani decaduti, i quali, pure in esilio e fuori dal proprio territorio si sono avvalsi della prerogativa di nobilitare o concedere onorificenze dei propri Ordini Dinastici: dall’Imperatore Sigismondo, che, nel 1416, a Parigi, pregato dal Re Carlo VI di Francia, creò Cavaliere quel tal Sig. De Signal, onde abilitarlo all’ufficio di Siniscalco a Beaucaire, a S. Luigi Re di Francia, che prigioniero del Sultano Maleth, creò cavaliere un suo favorito, servitore musulmano, a condizione della preventiva conversione al cattolicesimo.

Passando ai tempi moderni, ricordiamo il Granduca Cirillo che, proclamatosi Capo della Dinastia Romanoff, dopo l’eccidio di Ekaterinemburg, concesse a Matilde Fejxejevna, moglie del fratello Granduca Andrea, il titolo di Principessa Kransinka ed a Natalia Cerenetovski, moglie dell’altro fratello Granduca Michele, il titolo di Principessa Broso; ad entrambe, il trattamento di Altezza Serenissima; Re Vittorio Emanuele III, il quale, riconobbe la legittimità del conferimento del titolo di “ Duca di Danarca “ (Cipro) concesso dall’esilio, dal Re di Spagna, al Marchese Torres; Re Leopoldo del Belgio che, pur in stato di prigionia, concesse alla consorte, il titolo di Principessa de Rety, col trattamento di Altezza Reale, Re Carol di Romania che, dal lontano esilio in Brasile, concesse alla Sig.na Magda Lupescu, il titolo di Principessa Reale di Romania col relativo trattamento di Altezza.

Persino la Repubblica di San Marino ha riconosciuto la qualità principesca della Dinastia Canusiana, alla quale appartenne la celebre Contessa Matilde.

Titoli tutti pienamente riconosciuti in campo internazionale, pur essendo concessi da Sovrani non più nell’effettivo esercizio del loro potere politico.

Di tali premesse dottrinarie e di diritto internazionale, si pervenne in Italia a numerose affermazioni in campo giurisprudenziale, con sentenze civili e penali, passate in giudicato, con le quali veniva riconosciuta la qualità sovrana di alcuni Gran Maestri di notissimi Ordini Indipendenti, ritenuti, pertanto,  soggetti di Diritto Pubblico Internazionali” e non compresi quindi nel divieto dell’art. 8 della Legge che prevedeva “Enti, Associazioni e privati”.

Con l’abolizione degli speciali Organi un tempo preposti alla tutela dei titoli nobiliari, OGGI, L’UNICA AUTORITÁ CHIAMATA A DECIDERE IN MATERIA È LA MAGISTRATURA, la quale provvede alla delibazione delle decisioni emesse dai Tribunali Arbitrali. Questa l’ “accertamento del titolo e della successione” deve applicare l’Ordinamento 5 luglio 1896 n. 314 , essendo stata abolita dalla Costituzione tutta la Legislazione araldica posteriore al 28 ottobre 1922 ( § XIV Transitorie ), della quale sopravvive solamente l’Ordinamento 7 giugno 1943 n. 651.

I Principi, Capi di Nome e d’Arme delle Case ex Regnanti, sono nel pieno, legittimo e giuridico possesso delle “ Prerogative Dinastiche” consistenti nella “FONS HONORUM”, per cui, possono validamente concedere titoli nobiliari, con o senza predicati, relativi ai loro ex domini, nonchè onorificenze degli Ordini Cavallereschi di loro collazione dinastico- familiare.

Fermo restando la indiscriminata facoltà di “accettazione” di tali onorificenze e di quelle concesse da “Stati Esteri”, da parte dei cittadini italiani, ne è consentito dei medesimi un “uso limitato”, in mancanza della prevista autorizzazione da parte del Ministro degli Affari Esteri, nei rapporti “privati in pubblico”, col solo obbligo della specificazione del grado e dell’Ordine di appartenenza, salvo ad ottenerne l’autorizzazione per un più completo uso ufficiale.

Per consolidata Giurisprudenza, dalla legittimità dell’acquisto deriva la legittimità dell’uso dei Titoli, come espresso dalla Sentenza del Pretore di Napoli Dottor Tullio CHIARIELLO, Nr. 2230 del 2 febbraio 1942. “

La definizione di “Entità Sovrana priva di territorio”

L’assemblea delle Nazioni Unite, accogliendo il 24/08/1994 il Sovrano Militare Ordine di Malta quale membro osservatore permanente, ha poi  definito genericamente l’Ordine  come una “entità Sovrana priva di territorio”, così come parimenti lo hanno fatto anche altri nel definire lo “status” particolare dell’Ordine.

Alla luce delle considerazioni giuridiche sopra citate, nonché per analogia di termini e di significato, è dunque corretto definire modernamente  tutte le Case Sovrane già regnanti attualmente esistenti come  delle “Entità Sovrane prive di territorio” , ancorché esse non abbiano tuttavia mai richiesto, oppure ottenuto, la qualifica di membro osservatore dell’Assemblea delle Nazioni Unite.

Oltre al Celebre Ordine di Malta, oggi è quindi corretto definire nel linguaggio comune “entità sovrane prive di territorio” anche le circa ottomila famiglie esistenti al mondo che in varie epoche regnarono  sui propri territori.

In Italia esistono Case Sovrane di assodata validità, storicità e riconoscimento giuridico che, godendo tramite sentenze  delle  prerogative dinastiche sopra citate nonché della “fons honorum””, sono dunque definibili nel linguaggio comune come “entità sovrane prive di territorio”.

Fra queste si possono ricordare:

Il riconoscimento della Sovranità nazionale  fra gli Stati membri delle Nazioni Unite *

Come fanno un territorio, oppure un “entità Sovrana priva di territorio” (ovvero una Casa Sovrana già regnante), a diventare uno stato riconosciuto?

Al momento non esiste alcun percorso giuridico chiaro per ottenere il riconoscimento della sovranità statale da parte della comunità internazionale.  Il 2017 ha già visto l’organizzazione di un referendum per l’indipendenza, quello di Porto Rico dagli Stati Uniti tenutosi l’11 giugno, in cui gli abitanti dell’arcipelago caraibico hanno scelto di diventare uno stato federato e di non abbandonare Washington.

Nell’autunno 2017 sono avvenuti poi altri due referendum di questo tipo nel mondo, uno nel Kurdistan iracheno e l’altro in Catalogna per l’indipendenza della regione di Barcellona dalla Spagna.

Nel 2018 si terrà poi il referendum per l’indipendenza dalla Francia della Nuova Caledonia, un arcipelago di isole nell’oceano Pacifico meridionale.

Ma come fa un territorio, ancorché governato autonomamente, oppure una “entità sovrana priva di territorio” intesa come una casa già regnante, a diventare uno stato sovrano e indipendente riconosciuto dalla comunità internazionale?

Al momento, non esiste un percorso giuridico chiaro per ottenere la sovranità statale e nemmeno alcun meccanismo stabilito legalmente che determini quando e come questo riconoscimento avvenga.

Il diritto internazionale afferma che tutte le nazioni del mondo hanno il diritto di determinare il proprio destino, compreso lo status politico delle proprie libere istituzioni.

Il diritto all’autodeterminazione dei popoli è sancito dalla Carta delle Nazioni Unite e chiarito nel Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato dall’Onu nel 1966 ed entrato in vigore dieci anni più tardi.

Esiste dunque un diritto delle autorità, dei popoli, oppure delle entità Sovrane prive di territorio intese come le Case sovrane ex regnanti, di veder riconoscere la propria sovranità  da parte della comunità internazionale?

In realtà no, perché questo principio giuridico è interpretato come il diritto posseduto da ciascuna popolazione di determinare da chi e come essere governata.

Questo avviene perché la maggior parte degli accordi internazionali che affermano l’autodeterminazione dei popoli furono per lo più scritti durante il periodo della decolonizzazione.

Il contesto storico in cui è maturato tale principio non può infatti essere ignorato. Durante questo periodo, gli imperi coloniali andavano smantellandosi.

Queste entità erano diventate costose da mantenere, gli stessi vantaggi economici derivanti dalla colonizzazione potevano essere raggiunti grazie ad accordi con i nuovi governi formalmente indipendenti e la pressione politica all’interno delle colonie era diventata insostenibile.

È proprio qui il nocciolo della questione infatti: assumere il punto di vista dello stato che deve riconoscere la sovranità a un proprio territorio.

Quello che complica tutto è il fatto che, perché un territorio governato autonomamente, oppure un “entità sovrana priva di territorio”( ovvero una Casa Sovrana ex Regnante), possa dichiararsi uno stato sovrano, un’altra entità stata dovrà perdere parte del proprio territorio.

Siccome questa perdita va a intaccare l’integrità territoriale di un paese, senza l’autorizzazione di quest’ultimo ci si troverebbe in presenza di una violazione delle norme internazionali.

Il mutuo riconoscimento dell’integrità nonché dell’inviolabilità del proprio territorio è un principio cardine del sistema internazionale, che risale addirittura al trattato di pace di Westfalia del 1648 che pose fine alla guerra dei trent’anni in atto in Europa.

Quindi il riconoscimento di un nuovo stato significa essenzialmente riconoscere legalità al trasferimento della sovranità su un territorio da un’autorità a un’altra.

Un organismo internazionale, come ad esempio l’ONU, oppure una Casa sovrana già regnante, non possono semplicemente togliere pezzi di territorio a uno stato senza l’autorizzazione di quest’ultimo. Se lo facessero metterebbe in discussione il sistema stesso delle regole internazionali.

Il Kosovo, per esempio, ha dichiarato la propria indipendenza dalla Serbia nel 2008, ma fino ad oggi non possiede una piena sovranità statale, nonostante più della metà degli stati membri delle Nazioni Unite ne riconosca l’autorità sul territorio che governa.

Questo perché la Serbia continua a rivendicare il proprio legittimo controllo su quella che considera una propria provincia ribelle.

Allo stesso modo, Spagna e Iraq dovranno rinunciare alle proprie pretese di sovranità su Catalogna e Kurdistan affinché queste comunità possano vedere riconosciuta la propria autorità statale.

Dunque l’unico modo per sapere come fa un territorio governato autonomamente a diventare uno stato sovrano è imparare dal passato.

Gli stati più recenti del mondo sono il Sudan del Sud, riconosciuto nel 2011 e Timor est, riconosciuto nel 2002.

In questi due casi, come per l’Eritrea nel 1993, le autorità che governano quei territori si sono viste riconoscere la propria sovranità statale come parte degli accordi di pace che hanno messo fine ai conflitti in cui erano coinvolte.

Dunque uno dei metodi perché un territorio autonomo veda riconosciuta la propria sovranità passa attraverso l’ottenimento del permesso da parte della precedente autorità statale che governava quelle terre.

Questo è anche il caso di tutte quelle entità statali che sono nate a seguito della decolonizzazione avvenuta tra gli anni Cinquanta e Settanta del Novecento.

Invece, per quanto riguarda i nuovi stati creatisi all’inizio degli anni Novanta nell’area dell’ex Unione Sovietica, questi si sono visti riconoscere la propria sovranità a causa del dissolvimento della precedente autorità statale che li governava e che da un giorno all’altro non è esistita più.

Ma come funziona il riconoscimento di uno stato indipendente?

Affinché uno stato sia dichiarato tale, è necessario che tutti gli stati membri delle Nazioni Unite, compreso quello che in precedenza governava il territorio interessato, riconoscano l’indipendenza del nuovo paese.

Ma anche qui non esiste una procedura chiara e definita per vedersi riconoscere la propria indipendenza.

Spesso questo riconoscimento è determinato dal clima politico internazionale contingente e dai temi geopolitici sul tavolo della comunità internazionale al momento della richiesta.

Il mancato riconoscimento della Palestina come stato sovrano è un classico esempio di questa realtà.

Finché infatti non ci sarà un accordo internazionale, in particolare una pacificazione dei rapporti con il vicino Israele, non sarà possibile per l’Autorità Nazionale Palestinese vedersi riconoscere la propria sovranità sul territorio di Gaza e della Cisgiordania come un’unica entità statale indipendente.

*Articolo tratto da https://www.tpi.it/  (con aggiunta di alcune note di direzione)